giovedì 9 febbraio 2012

Il gruppo di potere che possiede l'Italia


articolo di Roberto Pacella per Byoblu.com

Il 2 giugno 1992 lo Yacht reale inglese Britannia attraccò al porto di Civitavecchia per poi fare rotta lungo la costa dell’Argentario.

 A bordo della nave erano presenti alcuni banchieri inglesi. Alcuni manager ed economisti italiani vennero invitati a partecipare ad una riunione. Tra questi: Giovanni Bazoli, Presidente del Banco Antonveneto, Lorenzo Pallesi, Presidente INA Assitalia, Gabriele Cagliari, Presidente dell’Eni, Innocenzo Cipolletta, Direttore Generale di Confindustria, e Mario Draghi, allora Direttore Generale del Ministero del Tesoro. Si discuteva delle privatizzazioni italiane. Per qualcuno si pianificava la svendita dell’Italia.


  Con il D.L. 5 dicembre 1991 n. 386, poi convertito nella Legge 29 gennaio 1992 n. 35, venivano dettate disposizioni in materia di trasformazione di enti pubblici economici, nonché di aziende autonome statali, in società per azioni. Con questo primo atto si è dato il via a quella che poi si è rivelata una vera e propria svendita dell’intero sistema industriale italiano.

  A presiedere il comitato per le privatizzazioni fu chiamato proprio Mario Draghi, ruolo che ricoprì in qualità di Direttore Generale del Ministero del Tesoro. E’ interessante notare che Draghi proveniva dalla direzione esecutiva della Banca Mondiale e che, dopo quell’incarico, diventò vicepresidente del Management Committee della Goldman Sachs. Dopo aver fatto parte dei consigli di amministrazione di banche ed aziende come ENI, IRI, Banca Nazionale del Lavoro, IMI, nel 2006 fu nominato Governatore della Banca d’Italia. In quella veste diventa anche Presidente del Financial Stability Board, organismo che si occupa di monitorare istituzioni e mercati internazionali.

 Come che sia, si cominciò privatizzando il gruppo agro-alimentare SME, azienda pubblica controllata dall’IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale presieduto all’epoca da Romani Prodi) e proprietaria tra gli altri di marchi come Motta, Antica gelateria del Corso e Surgela. Ma se da un lato era indispensabile che lo stato smettesse di fare l’imprenditore producendo panettoni o surgelati, dall’altro non si potevano dismettere aziende statali erogatrici di servizi, perché un intero sistema politico si opponeva. D’altra parte, che motivo avevano i politici della cosiddetta prima repubblica di privarsi di aziende che garantivano loro una buona rendita di posizione? Era forse necessario toglierli di mezzo? Se così fosse, sarebbe allora lecito pensare che l’inchiesta Mani Pulite non fosse nata per caso, ma fosse piuttosto un'abile azione pilotata. Ed è altrettanto lecito sospettare che Gabriele Cagliari (Presidente dell’Eni) si fosse “suicidato” perché contrario a tutta l’operazione. E ancora, che il PCI fosse stato appena sfiorato dalle indagini perché non coinvolto nella gestione del potere, se non marginalmente.

 Tant'è che le cose procedono speditamente: vengono “privatizzate” l’IRI, l’ENI, l’INA, l’ENEL, i Monopoli di Stato finchè, nel 1998, è la volta di Poste Italiane. Romano Prodi, appena divenuto Presidente del Consiglio, nomina Corrado Passera amministratore delegato delle Poste, al fine di risanare una società in forte passivo. Il piano industriale di Passera si realizza con un taglio del personale di ben 22.000 unità e con  l’assunzione di giovani sotto i 24 anni con contratti triennali di apprendistato. Ora finalmente può farlo, dato che le Poste Italiane non sono più un’azienda dello stato, ma una normale società per azioni che può agire con ogni mezzo, dovendo sottostare alle sole "leggi del mercato".  Sotto la gestione Passera viene costituita BancoPosta, una banca a tutti gli effetti ma con i vantaggi che la posizione dominante di Poste Italiane gli procura e con una distribuzione capillare sul territorio italiano da oltre 14.000 sportelli. Come mai le banche, sempre pronte a difendere i loro interessi, non sollevano la benché minima obiezione contro un'operazione avvenuta in regime di palese concorrenza sleale?

  Fatto sta che Corrado Passera, dopo il suo incarico alle Poste, viene chiamato da Banca Intesa, nata dall’integrazione di Cariplo e Banco Ambrosiano Veneto. Anche qui è interessante notare come sia avvvenuta la composizione del mosaico. L’Ambrosiano Veneto nasce dalle ceneri del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, fortemente legato allo IOR (Istituto di Opere Religiose con sede in Vaticano). Dopo la liquidazione del Banco Ambrosiano un gruppo di banche pubbliche e private (tra cui BNL, IMI e Istituto San Paolo di Torino) accetta di partecipare al salvataggio dell’istituto, La presidenza del Nuovo Banco Ambrosiano viene affidata a Giovanni Bazoli (sì, quello del Britannia). Quindi, grazie alla fusione con la Banca Cattolica del Veneto, l'istituto diventa poi il Banco Ambrosiano Veneto. Banca Intesa, invece, diventa Intesa San Paolo, dopo la fusione di IMI con il San Paolo di Torino che origina il San Paolo Imi grazie all'acquisizione del Banco di Napoli e di una serie di banche locali. Corrado Passera è uno degli artefici di questa catena complessa di integrazioni.

 Nel 2008, appena eletto, Berlusconi lo chiama al salvataggio di Alitalia e si pone nella cordata di imprenditori che rileveranno la compagnia ed oggi, come sappiamo, è Ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti nel governo presieduto da Mario Monti. Nel frattempo Mario Draghi (dopo l’uscita di scena di Dominique Strauss-Kahn) è stato nominato Presidente della Banca Centrale Europea. Questo gruppo di potere ha illuso il PCI-PDS-DS, ora PD, di esserne parte, ma quando si è trattato di cedergli le briciole (vedi l’acquisizione di Unipol di Giovanni Consorte) ha mostrato il suo vero volto.

  La verità sfugge, oleosamente mimetizzata nell'avvicendarsi dei fatti, ma vi sono dubbi significativi che questa girandola di eventi e persone, sempre le stesse, non sia frutto di coincidenze. Si tratta in ogni caso di una ristretta élite che pianifica le sorti di un intero popolo, attraverso la persecuzione di strategie affaristiche le quali si intrecciano saldamente alla politica. Una volta i re venivano investiti dell’autorità divina (abbiamo avuto anche un “politico” che si diceva unto dal Signore) ma quelli erano altri tempi. Ciò che risalta è la genuflessione della nostra classe dirigente al potere economico.

  Per questo, ogni volta che sentite parlare di privatizzazioni, è bene che vi facciate più di una domanda.
Roberto Pacella

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