Negli ultimi anni avevo abbandonato la ricerca sulle scie chimiche, un
pò perchè impegnato nella realizzazione dei vari documentari (cancro,
marijuana, ecc..), un pò perchè avevo la sensazione che il muro di gomma
contro cui ci si andava a scontrare, per cercare di capire il fenomeno
delle scie chimiche, fosse comunque imperforabile.
In altre parole mi ero detto: le scie chimiche ci sono, probabilmente ci buttano dentro di tutto, ma nessuno ci dirà mai con chiarezza a cosa servono.
Negli ultimi giorni però, coinvolto anche da Gramiccioli che continuava a stuzzicarmi [1], sono tornato a fare ricerca sull’argomento: ho fatto una specie di “total immersion”, necessariamente breve e incompleta, ma comunque già sconvolgente: mentre posso confermare la assoluta impenetrabilità del muro di gomma di cui parlavo, mi sembra di capire che ormai la faccenda della cosiddetta “modificazione climatica”, con tutti gli annessi e connessi, sia diventata lo scacchiere su cui si gioca la vera partita del potere a livello globale.
Roba da far rimpiangere l’antica “paura atomica” della Guerra Fredda, tanto per capirci.
Cerchiamo di andare per ordine. Innanzitutto, diciamo che sul fatto che le “scie chimiche” esistano nessuno oggi può avere dei dubbi. L’antico dibattito “contrail vs. chemtrail” è superato da anni, persino un bambino riesce ormai a capire la differenza fra le due cose, e soltanto gli “attivissimi debunkers” di marca cicappina continuano imperterriti a fingere che il fenomeno non esista. (A questo punto, non riesco nemmeno a capire a chi le raccontino queste cose, se non a sè stessi).
Il termine “cloud seeding” (inseminazione delle nuvole) ormai fa parte del linguaggio mainstream, la loro esistenza è confermata da diversi documenti ufficiali, e ci sono dozzine di documentari istituzionali [2] che ne raccontano la storia, ne descrivono le origini e ne giustificano l’esistenza, ovviamente, “per scopi pacifici di interesse collettivo”.
Il vero problema quindi non sta più in quello che ci dicono, ma in quello che nel frattempo ci viene probabilmente nascosto, proprio grazie a questa ammissione.
Ricordiamo infatti che la classica strategia per nascondere un fatto importante ...
... è la seguente: finchè si riesce a farlo, lo si nega fingendo che non esista del tutto, e quando le prove della sua esistenza diventano troppo ingombranti, si trova una spiegazione innocua per giustificarlo. A quel punto la gente si tranquillizza, dimenticandosi invece di porsi la domanda più importante: “Ma scusate, se lo scopo è totalmente innocuo, perchè prima negavano il fenomeno?”
Ed è qui che la ricerca sulle scie chimiche si apre rapidamente a ventaglio, mente si configurano molteplici strati di possibili verità e di probabili bugie, che diventano sempre più difficili da districare.
Bisogna ricordare innanzitutto che l’idea di utilizzare gli aerei per lanciare qualche cosa sulla testa della gente è antica quanto l’aviazione stessa. In nostro Gabriele d’Annunzio ne fece buon uso, nel 1915, lanciando sul cielo di Trieste migliaia di volantini con un messaggio irredentista. Ne fecero invece un uso meno edificante i gerarchi fascisti durante la “campagna d’Africa”, quando utilizzarono gli aerei per decimare dall’alto interi villaggi abissini con bombe di gas all’iprite.
Ma anche in tempo di pace le maggiori potenze occidentali non si sono mai poste grossi problemi nello sperimentare – spesso sulla propria popolazione – gli effetti di un eventuale attacco batteriologico. Subìto o portato contro altri, ovviamente.
Basti per tutti l’esempio degli inglesi che – per loro stessa ammissione - negli anni ‘60 “coinvolsero milioni di persone in esperimenti di guerra batteriologica, in cui buona parte dell’Inghilterra fu esposta a batteri disseminati in test segreti”. Tanto, sanno benissimo che è impossibile dimostrare come la eventuale morte di tuo marito, di tua sorella di tua madre sia stata veramene causata da quei batteri.
E per quanto certi problemi sembrino ripetersi oggi con modalità molto simili, pare che l’attuale realtà delle scie chimiche sia nata per motivi molto diversi.
Secondo A.C. Griffith, [3]il noto “whistleblower” delle moderne scie chimiche, il progetto nacque sotto l’amministrazione Reagan (1980-88), e fu una operazione congiunta CIA-militari. Stiamo parlando – dice Griffith – di black-ops del massimo livello, cioè di quelle operazioni che sfuggono al controllo e alla conoscenza stessa del governo americano.
Le prime operazioni di aerosol vennero condotte da aerei della CIA, che volavano a quote relativamente basse (ca. 3.000 mt), e disperdevano nell’aria una miscela di bario e sale. Lo scopo sarebbe stato di rendere l’atmosfera più conduttiva, per facilitare le scansioni di un nuovo tipo di radar militare (di cui parleremo più dettagliatamente in seguito).
Dopo i primi esperimenti – si presume positivi - si decise di passare all’applicazione su larga scala, e divenne quindi necessario utilizzare gli stessi voli commerciali, sia per approfittare della loro già familiare presenza nel cielo, sia per nascondere dietro a questa presenza i veri motivi delle irrorazioni. Ecco da dove nacque la famosa spiegazione “sono solo scie di condensa”, che continua ancora oggi a rassicurare i più tonti e creduloni.
Il progetto che avrebbe coinvolto gli aerei commerciali si chiamava Cloverleaf, e fu classificato ai livelli di massima segretezza militare. Questo significa che le operazioni erano tutte altamente compartimentate, e che le informazioni venivano condivise solo in base al principio del “need to know” [4].
Una conferma della segretezza e dell’importanza del progetto Cloverleaf sta nella lettera ricevuta nell’anno 2000 da Clifford Carnicom (uno dei maggiori ricercatori sulle schie chimiche) da parte di un manager di una compagnia aerea americana, che per ovvii motivi volle restare anonimo.
Nella lettera questo manager non solo confermava i sospetti già espressi, in modo altrettanto anonimo, da un meccanico della sua compagnia, che aveva osservato l’installazione dei diffusori di aerosol sugli aerei commerciali, ma rivelava che i pochissimi dirigenti delle aerolinee che erano stati messi al corrente del progetto Cloverleaf erano stati assoggettati al segreto militare, con il rischio di finire in prigione se ne avessero parlato con chiunque. Il progetto Cloverleaf – spiega il manager nella lettera – prevedeva che il governo pagasse le compagnie aeree per compiere le operazioni di aerosol, e quando i dirigenti delle aerolinee chiesero a cosa servissero queste operazioni, gli fu risposto che erano informazioni secretate, della massima importanza, ma che si trattava comunque di composti assolutamente innocui per la popolazione.
Da quel giorno in poi – spiega Griffith – nessuno sarebbe più stato in grado di sapere cosa veniva messo davvero nei serbatoi degli aerei destinati alle irrorazioni, a partire dai piloti stessi.
Contemporaneamente, ai parlamentari di Washington e ai governatori dei vari stati veniva consigliato di non impicciarsi in questa faccenda, mentre la stessa cosa veniva detta senza mezzi termini alla EPA (l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente).
Ecco spiegate le ragioni per quel famoso “muro di gomma” contro il quale sono andati a sbattere sistematicamente tutti coloro che hanno provato a chiedere chiarimenti sulle scie chimiche a qualunque ente governativo.
Nel suo documentario “Aerosol Crimes”, Carnicom mostra diversi esempi di lettere mandate alla EPA, con tanto di prelievi chimici sospetti, e relativa richiesta di analisi, nei quali la EPA ha semplicemente risposto di “non essere al corrente di programmi governativi di irrorazione aerea”.
Cioè, io ti mando un barattolo pieno di schifezze cadute dal cielo, e tu – ente preposto alla protezione ambientale - mi rispondi che non le vuoi analizzare perchè “non ti risulta che ci sia qualcuno che le ha fatte cadere”? (Sarebbe come presentarsi dalla polizia con tre pallottole nello stomaco, chiedendo di arrestare chi ti ha sparato, per sentirsi rispondere che “non ci risulta che ci sia gente che usi armi da fuoco”).
E’ proprio di fronte a questi paradossi che si riesce ad intuire quale possa essere il livello di segretezza imposto al progetto di aerosol da parte di CIA e Pentagono.
A questo punto diventa anche più facile capire come, una volta estese le operazioni di aerosol ad altre nazioni nel mondo – compreso purtroppo la nostra - anche i rispettivi governi, che agiscono quasi sempre in condizioni di sudditanza verso gli Stati Uniti, si siano trovati nello stesso imbarazzo nel dover negare un fenomeno che appare evidente ormai a chiunque.
E’ perfettamente inutile chiedere ai nostri “rappresentanti eletti” di fare interrogazioni parlamentari sulle scie chimiche, quando probabilmente gli stessi ministri della difesa a cui dovrebbero rivolgersi non sanno nemmeno bene cosa siamo obbligati a disseminare nel cielo, per conto dei nostri padroni americani.
Se il criterio principale rimane il “need to know” – come è presumibile - di certo i nostri governanti-burattini non debbono saperne nulla. Anzi, meno sanno e meglio è, vista la ben nota propensione dei nostri politicanti a spifferare i segreti altrui.
Ma torniamo ai veri motivi che avrebbero fatto nascere il moderno progetto delle scie chimiche, sempre secondo le rivelazioni di Griffith.
FINE PRIMA PARTE (domani la conclusione).
Massimo Mazzucco
NOTE:
1 - Tutti i giovedi sono ospite fisso di radio IES, dalle 7 alle 8 del mattino, nel programma Ouverture di David Gramiccioli. (Oggi lunedì 7 partecipo allo stesso orario, per parlare proprio di scie chimiche).
2 – Qui e qui un paio di esempi, ma ne trovate a dozzine in circolazione.
3 – “Whistleblower” è il termine usato per indicare una persona che rivela informazioni segrete, un insider che decide di uscire dal gioco e rivelare, almeno in parte, quello che conosce. A.C. Griffith è un ex-agente della NSA e delle CIA, a diretta conoscenza del progetto scie chimiche, che ad un certo punto ha deciso di uscirne e di denunciarne pubblicamente gli scopi reali, nonostante i rischi che avrebbe corso. Ne parla apertamente nella nota intervista a “The Power Hour”, da lui rilasciata nel 2009. Non è una intervista facile da decifrare, come accade spesso per i whistleblower di alto livello, che sono costretti a coprire le verità più scottanti da un velo di apparente ingenuità: ad esempio, nell’intervista Griffith parla di “armi scalari”, fra le altre cose, ma dice che sono i russi a possederle e ad usarle contro gli Stati Uniti. Sta quindi all’ascoltatore dedurre che, se davvero i russi le hanno, come minimo debbano averle anche gli americani.
[4] “Need to know” significa “necessità di sapere”. Ciascuna delle persone coinvolte riceve soltanto le informazioni che gli sono indispensabili per operare, senza venir messo a conoscenza del progetto complessivo. Come viene spiegato nel film “I padroni del mondo” è lo stesso criterio, rigoroso e selettivo, che viene usato dai militari nella questione degli UFO. Persino a presidenti come Clinton e Carter, che chiesero di sapere qualcosa di più sugli UFO, vennero negate queste informazioni.
In altre parole mi ero detto: le scie chimiche ci sono, probabilmente ci buttano dentro di tutto, ma nessuno ci dirà mai con chiarezza a cosa servono.
Negli ultimi giorni però, coinvolto anche da Gramiccioli che continuava a stuzzicarmi [1], sono tornato a fare ricerca sull’argomento: ho fatto una specie di “total immersion”, necessariamente breve e incompleta, ma comunque già sconvolgente: mentre posso confermare la assoluta impenetrabilità del muro di gomma di cui parlavo, mi sembra di capire che ormai la faccenda della cosiddetta “modificazione climatica”, con tutti gli annessi e connessi, sia diventata lo scacchiere su cui si gioca la vera partita del potere a livello globale.
Roba da far rimpiangere l’antica “paura atomica” della Guerra Fredda, tanto per capirci.
Cerchiamo di andare per ordine. Innanzitutto, diciamo che sul fatto che le “scie chimiche” esistano nessuno oggi può avere dei dubbi. L’antico dibattito “contrail vs. chemtrail” è superato da anni, persino un bambino riesce ormai a capire la differenza fra le due cose, e soltanto gli “attivissimi debunkers” di marca cicappina continuano imperterriti a fingere che il fenomeno non esista. (A questo punto, non riesco nemmeno a capire a chi le raccontino queste cose, se non a sè stessi).
Il termine “cloud seeding” (inseminazione delle nuvole) ormai fa parte del linguaggio mainstream, la loro esistenza è confermata da diversi documenti ufficiali, e ci sono dozzine di documentari istituzionali [2] che ne raccontano la storia, ne descrivono le origini e ne giustificano l’esistenza, ovviamente, “per scopi pacifici di interesse collettivo”.
Il vero problema quindi non sta più in quello che ci dicono, ma in quello che nel frattempo ci viene probabilmente nascosto, proprio grazie a questa ammissione.
Ricordiamo infatti che la classica strategia per nascondere un fatto importante ...
... è la seguente: finchè si riesce a farlo, lo si nega fingendo che non esista del tutto, e quando le prove della sua esistenza diventano troppo ingombranti, si trova una spiegazione innocua per giustificarlo. A quel punto la gente si tranquillizza, dimenticandosi invece di porsi la domanda più importante: “Ma scusate, se lo scopo è totalmente innocuo, perchè prima negavano il fenomeno?”
Ed è qui che la ricerca sulle scie chimiche si apre rapidamente a ventaglio, mente si configurano molteplici strati di possibili verità e di probabili bugie, che diventano sempre più difficili da districare.
Bisogna ricordare innanzitutto che l’idea di utilizzare gli aerei per lanciare qualche cosa sulla testa della gente è antica quanto l’aviazione stessa. In nostro Gabriele d’Annunzio ne fece buon uso, nel 1915, lanciando sul cielo di Trieste migliaia di volantini con un messaggio irredentista. Ne fecero invece un uso meno edificante i gerarchi fascisti durante la “campagna d’Africa”, quando utilizzarono gli aerei per decimare dall’alto interi villaggi abissini con bombe di gas all’iprite.
Ma anche in tempo di pace le maggiori potenze occidentali non si sono mai poste grossi problemi nello sperimentare – spesso sulla propria popolazione – gli effetti di un eventuale attacco batteriologico. Subìto o portato contro altri, ovviamente.
Basti per tutti l’esempio degli inglesi che – per loro stessa ammissione - negli anni ‘60 “coinvolsero milioni di persone in esperimenti di guerra batteriologica, in cui buona parte dell’Inghilterra fu esposta a batteri disseminati in test segreti”. Tanto, sanno benissimo che è impossibile dimostrare come la eventuale morte di tuo marito, di tua sorella di tua madre sia stata veramene causata da quei batteri.
E per quanto certi problemi sembrino ripetersi oggi con modalità molto simili, pare che l’attuale realtà delle scie chimiche sia nata per motivi molto diversi.
Secondo A.C. Griffith, [3]il noto “whistleblower” delle moderne scie chimiche, il progetto nacque sotto l’amministrazione Reagan (1980-88), e fu una operazione congiunta CIA-militari. Stiamo parlando – dice Griffith – di black-ops del massimo livello, cioè di quelle operazioni che sfuggono al controllo e alla conoscenza stessa del governo americano.
Le prime operazioni di aerosol vennero condotte da aerei della CIA, che volavano a quote relativamente basse (ca. 3.000 mt), e disperdevano nell’aria una miscela di bario e sale. Lo scopo sarebbe stato di rendere l’atmosfera più conduttiva, per facilitare le scansioni di un nuovo tipo di radar militare (di cui parleremo più dettagliatamente in seguito).
Dopo i primi esperimenti – si presume positivi - si decise di passare all’applicazione su larga scala, e divenne quindi necessario utilizzare gli stessi voli commerciali, sia per approfittare della loro già familiare presenza nel cielo, sia per nascondere dietro a questa presenza i veri motivi delle irrorazioni. Ecco da dove nacque la famosa spiegazione “sono solo scie di condensa”, che continua ancora oggi a rassicurare i più tonti e creduloni.
Il progetto che avrebbe coinvolto gli aerei commerciali si chiamava Cloverleaf, e fu classificato ai livelli di massima segretezza militare. Questo significa che le operazioni erano tutte altamente compartimentate, e che le informazioni venivano condivise solo in base al principio del “need to know” [4].
Una conferma della segretezza e dell’importanza del progetto Cloverleaf sta nella lettera ricevuta nell’anno 2000 da Clifford Carnicom (uno dei maggiori ricercatori sulle schie chimiche) da parte di un manager di una compagnia aerea americana, che per ovvii motivi volle restare anonimo.
Nella lettera questo manager non solo confermava i sospetti già espressi, in modo altrettanto anonimo, da un meccanico della sua compagnia, che aveva osservato l’installazione dei diffusori di aerosol sugli aerei commerciali, ma rivelava che i pochissimi dirigenti delle aerolinee che erano stati messi al corrente del progetto Cloverleaf erano stati assoggettati al segreto militare, con il rischio di finire in prigione se ne avessero parlato con chiunque. Il progetto Cloverleaf – spiega il manager nella lettera – prevedeva che il governo pagasse le compagnie aeree per compiere le operazioni di aerosol, e quando i dirigenti delle aerolinee chiesero a cosa servissero queste operazioni, gli fu risposto che erano informazioni secretate, della massima importanza, ma che si trattava comunque di composti assolutamente innocui per la popolazione.
Da quel giorno in poi – spiega Griffith – nessuno sarebbe più stato in grado di sapere cosa veniva messo davvero nei serbatoi degli aerei destinati alle irrorazioni, a partire dai piloti stessi.
Contemporaneamente, ai parlamentari di Washington e ai governatori dei vari stati veniva consigliato di non impicciarsi in questa faccenda, mentre la stessa cosa veniva detta senza mezzi termini alla EPA (l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente).
Ecco spiegate le ragioni per quel famoso “muro di gomma” contro il quale sono andati a sbattere sistematicamente tutti coloro che hanno provato a chiedere chiarimenti sulle scie chimiche a qualunque ente governativo.
Nel suo documentario “Aerosol Crimes”, Carnicom mostra diversi esempi di lettere mandate alla EPA, con tanto di prelievi chimici sospetti, e relativa richiesta di analisi, nei quali la EPA ha semplicemente risposto di “non essere al corrente di programmi governativi di irrorazione aerea”.
Cioè, io ti mando un barattolo pieno di schifezze cadute dal cielo, e tu – ente preposto alla protezione ambientale - mi rispondi che non le vuoi analizzare perchè “non ti risulta che ci sia qualcuno che le ha fatte cadere”? (Sarebbe come presentarsi dalla polizia con tre pallottole nello stomaco, chiedendo di arrestare chi ti ha sparato, per sentirsi rispondere che “non ci risulta che ci sia gente che usi armi da fuoco”).
E’ proprio di fronte a questi paradossi che si riesce ad intuire quale possa essere il livello di segretezza imposto al progetto di aerosol da parte di CIA e Pentagono.
A questo punto diventa anche più facile capire come, una volta estese le operazioni di aerosol ad altre nazioni nel mondo – compreso purtroppo la nostra - anche i rispettivi governi, che agiscono quasi sempre in condizioni di sudditanza verso gli Stati Uniti, si siano trovati nello stesso imbarazzo nel dover negare un fenomeno che appare evidente ormai a chiunque.
E’ perfettamente inutile chiedere ai nostri “rappresentanti eletti” di fare interrogazioni parlamentari sulle scie chimiche, quando probabilmente gli stessi ministri della difesa a cui dovrebbero rivolgersi non sanno nemmeno bene cosa siamo obbligati a disseminare nel cielo, per conto dei nostri padroni americani.
Se il criterio principale rimane il “need to know” – come è presumibile - di certo i nostri governanti-burattini non debbono saperne nulla. Anzi, meno sanno e meglio è, vista la ben nota propensione dei nostri politicanti a spifferare i segreti altrui.
Ma torniamo ai veri motivi che avrebbero fatto nascere il moderno progetto delle scie chimiche, sempre secondo le rivelazioni di Griffith.
FINE PRIMA PARTE (domani la conclusione).
Massimo Mazzucco
NOTE:
1 - Tutti i giovedi sono ospite fisso di radio IES, dalle 7 alle 8 del mattino, nel programma Ouverture di David Gramiccioli. (Oggi lunedì 7 partecipo allo stesso orario, per parlare proprio di scie chimiche).
2 – Qui e qui un paio di esempi, ma ne trovate a dozzine in circolazione.
3 – “Whistleblower” è il termine usato per indicare una persona che rivela informazioni segrete, un insider che decide di uscire dal gioco e rivelare, almeno in parte, quello che conosce. A.C. Griffith è un ex-agente della NSA e delle CIA, a diretta conoscenza del progetto scie chimiche, che ad un certo punto ha deciso di uscirne e di denunciarne pubblicamente gli scopi reali, nonostante i rischi che avrebbe corso. Ne parla apertamente nella nota intervista a “The Power Hour”, da lui rilasciata nel 2009. Non è una intervista facile da decifrare, come accade spesso per i whistleblower di alto livello, che sono costretti a coprire le verità più scottanti da un velo di apparente ingenuità: ad esempio, nell’intervista Griffith parla di “armi scalari”, fra le altre cose, ma dice che sono i russi a possederle e ad usarle contro gli Stati Uniti. Sta quindi all’ascoltatore dedurre che, se davvero i russi le hanno, come minimo debbano averle anche gli americani.
[4] “Need to know” significa “necessità di sapere”. Ciascuna delle persone coinvolte riceve soltanto le informazioni che gli sono indispensabili per operare, senza venir messo a conoscenza del progetto complessivo. Come viene spiegato nel film “I padroni del mondo” è lo stesso criterio, rigoroso e selettivo, che viene usato dai militari nella questione degli UFO. Persino a presidenti come Clinton e Carter, che chiesero di sapere qualcosa di più sugli UFO, vennero negate queste informazioni.
Tratto da: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=3874