articolo di Valerio Valentini per Byoblu.com
Il 12 febbraio ho scritto degli operai Fiat epurati dallo
stabilimento di Pomigliano perché appartenenti al sindacato Fiom, nel
totale silenzio dei mezzi di informazione. Oggi vi mostro una marea di
leggi, carte e normative nazionali e comunitarie, di accordi e di
convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito e che ha
addirittura ratificato, che sono state palesemente violate dai vertici della Fiat, invitandovi a diffondere la notizia e ad aiutare gli operai di Pomigliano a ottenere giustizia.
L’anticostituzionalità di
un provvedimento come quello di Pomigliano, innanzitutto, e più in
generale dell’atteggiamento tenuto da Sergio Marchionne negli ultimi mesi, appare evidente. E non si capisce perché Napolitano non si pronunci in tal senso. L’articolo 18 della
nostra carta stabilisce che “i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai
singoli dalla legge penale”. Inoltre l’articolo 39 ribadisce
in maniera ancor più esplicita che “l'organizzazione sindacale è
libera” e che “ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non
la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme
di legge”.
Poi c'è lo statuto dei lavoratori (legge 300/1970). Marchionne
potrà anche dire che questa legge non gli piace, ma fintanto che non
sarà abrogata, andrà pur rispettata. Ebbene, all’articolo 14 lo Statuto recita:
“il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di
svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori
all'interno dei luoghi di lavoro”. E l’articolo successivo, il 15,
definisce “nullo qualsiasi patto od atto diretto a: 1)
subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o
non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
2) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di
qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti
disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua
affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno
sciopero”.
Eppure, se ci fermassimo qui, si potrebbe pensare che queste leggi
così fortemente protettive nei confronti dei lavoratori sono tipiche
soltanto del nostro Paese. Si rischierebbe così di dare ragione al
manager col maglione, che dice che “l’Italia è un peso per la Fiat”
e che, con le sue logiche tese a salvaguardare soltanto i diritti degli
operai, pone un freno allo sviluppo delle aziende. E invece non è così,
visto che esistono una miriade di leggi internazionali che tutelano i
lavoratori e le loro libertà sindacali.
C’è ad esempio L’OIL, l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite
che si occupa di promuovere la giustizia sociale nell’ambito del
lavoro, a cui aderiscono ben 178 Paesi, tra cui il nostro. Questa
struttura si riunisce di tanto in tanto per approvare delle Convenzioni
Internazionali che poi devono essere ratificate da tutti gli Stati
membri. Esaminiamone alcune che configgono in maniera evidente con la
condotta assunta dalla dirigenza della Fiat.
L'articolo 1 della Convenzione 98 dell’OIL
è chiaro: “i lavoratori devono beneficiare di un’adeguata protezione
contro tutti gli atti di discriminazione tendenti a compromettere la
libertà sindacale in materia di impiego. Tale protezione deve in
particolare applicarsi a quanto concerne gli atti che abbiano lo scopo
di: a) subordinare l’impiego di un lavoratore alla condizione che egli
non aderisca ad un sindacato o smetta di far parte di un sindacato; b)
licenziare un lavoratore o portargli pregiudizio con ogni altro mezzo, a
causa della sua affiliazione sindacale o della sua partecipazione ad
attività sindacali al di fuori delle ore di lavoro, o, con il consenso
del datore di lavoro, durante le ore di lavoro”. Sembrano norme scritte
su misura per il caso di Pomigliano.
Poi c'è l'articolo 2 della Convenzione 111 dell’OIL, che richiama lo Stato ai propri doveri. Dunque è il caso che il nostro Governo intervenga in maniera rapida ed efficace, infatti: “ogni Stato membro per il quale la presente convenzione è in vigore s’impegna a formulare e ad applicare una politica nazionale tendente a promuovere, con metodi adatti alle circostanze e agli usi nazionali, l’uguaglianza di possibilità e di trattamento in materia d’impiego e di professione, al fine di eliminare qualsiasi discriminazione in questa materia”.
Poi c'è l'articolo 2 della Convenzione 111 dell’OIL, che richiama lo Stato ai propri doveri. Dunque è il caso che il nostro Governo intervenga in maniera rapida ed efficace, infatti: “ogni Stato membro per il quale la presente convenzione è in vigore s’impegna a formulare e ad applicare una politica nazionale tendente a promuovere, con metodi adatti alle circostanze e agli usi nazionali, l’uguaglianza di possibilità e di trattamento in materia d’impiego e di professione, al fine di eliminare qualsiasi discriminazione in questa materia”.
Ancora, all'articolo 2, la Convenzione 87 dell’OIL sulla libertà di associazione e protezione del diritto sindacale non
ammette varietà di interpretazioni. Prevede infatti che “i lavoratori e
i datori di lavoro hanno il diritto, senza alcuna distinzione e senza
autorizzazione preventiva, di costituire delle organizzazioni di loro
scelta, nonché di divenire membri di queste organizzazioni, alla sola
condizione di osservare gli statuti di queste ultime”. L’articolo 8,
invece, al comma 2, ammonisce i governi: “la legislazione nazionale non
dovrà ledere né essere applicata in modo da ledere le garanzie previste
dalla presente convenzione”. Dunque, tutti quelli che in questi mesi
straparlano di proporre il “modello Marchionne” come contratto
nazionale, dicono delle grosse idiozie.
Ma eccoci alla Convenzione dell’OIL del 1998. L’articolo 2 ci interessa particolarmente, perché obbliga tutti gli Stati membri ad adeguarsi
alle direttive dell’organizzazione. C’è scritto, infatti, che “tutti i
Membri, anche qualora non abbiano ratificato le Convenzioni in
questione, hanno un obbligo, dovuto proprio alla loro appartenenza
all’Organizzazione, di rispettare, promuovere e realizzare, in buona
fede e conformemente alla Costituzione, i principi riguardanti i diritti
fondamentali che sono oggetto di tali Convenzioni: a) libertà di
associazione e riconoscimento effettivo del diritto di contrattazione
collettiva […] d) eliminazione della discriminazione in materia di
impiego e professione”.
E vogliamo parlare della Carta sociale europea?
Bene: si tratta di un accordo sottoscritto a Strasburgo dagli Stati
membri dell’Unione Europea nel 1996, e ratificata in Italia nel 1999.
Anche in questa occasione si sottolinea – all’articolo 2 – che “tutti i
lavoratori hanno diritto ad eque condizioni di lavoro” e che “tutti i
lavoratori e datori di lavoro hanno diritto di associarsi liberamente in
seno ad organizzazioni nazionali o internazionali per la tutela dei
loro interessi economici e sociali” (articolo 5). E, tanto per essere
chiara, la Carta sociale europea, con l’articolo 26, sancisce che “tutti
i lavoratori hanno diritto alla dignità sul lavoro”. Venire
sbeffeggiati, ingiuriati, costretti a stare in piedi per ore e ore
perché “avere la tessera FIOM non è salutare”, come è capitato ai
lavoratori di Pomigliano, non è affatto dignitoso.
Come dimenticare poi la Carta di Nizza del 2000,
entrata in vigore in tutti gli Stati dell’UE a partire dal 2003. Questa
“carta” tende ad uniformare le legislazioni dei vari Paesi europei su
alcune materie, tra cui quella del lavoro. All’articolo 12, essa recita:
“ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla
libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo
politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni
individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la
difesa dei propri interessi”. L’articolo 28, invece, stabilisce che “i
lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno,
conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi
nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi,
ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di
interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi,
compreso lo sciopero”. Dunque non può esistere alcuna ritorsione,
da parte dei dirigenti Fiat nei confronti degli iscritti alla FIOM per
il fatto che appartengono al sindacato più ostile all’accordo proposto
dall’azienda.
Per finire, ecco il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici .
È un trattato delle Nazioni Unite adottato nel 1966 ed entrato in
vigore dieci anni più tardi, e che tutti i Paesi firmatari (tra cui
l’Italia) sono tenuti a rispettare. L’articolo 22 è questo: “ogni
individuo ha diritto alla libertà di associazione, che include il
diritto a costituire sindacati e a aderirvi per la tutela dei propri
interessi. L'esercizio di tale diritto non può formare oggetto di restrizioni,
tranne quelle stabilite dalla legge e necessarie in una società
democratica, nell'interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza
pubblica, dell'ordine pubblico”.
Ora, alla luce di tutto ciò, non si capisce perché nessun uomo politico abbia voluto inchiodare la Fiat ai suoi doveri
e al rispetto delle leggi. Se si scippa una vecchietta alle poste siamo
tutti pronti all'indignazione e alla rivendicazione di una rapida
giustizia, ma se invece si stupra la dignità di migliaia di operai
eccoci in silenzio a fare spallucce? Perché non ci rendiamo conto della
pericolosità di creare un precedente come quello che riguarda i
dipendenti della Fiat? E perché non realizziamo che stiamo commettendo
un reato gravissimo nel consegnare ai nostri figli un Paese con meno
diritti e con meno libertà?
L’Italia, è bene ricordarselo, è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Se si minano le fondamenta, cioè il lavoro, cosa potrà mai avvenire al resto dell'edificio?
Valerio Valentini
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