Qualcuno ha sentito per caso parlare in giro della velata minaccia che monsieur Sarkozy ha espresso qualche giorno fa, paventando l’ombra della riaccensione dei conflitti internazionali in Europa nel caso l’euro dovesse cadere? E qualcuno, sempre per caso, ha sentito parlare in giro di quella strana frase pronunciata due giorni fa da frau Merkel, che diceva esattamente: “Se cade l’euro cade l’Europa. Nessuno prenda per garantiti altri 50 anni di pace in Europa”? Dette da chiunque, già così non sarebbero espressioni felici. Dette dai due leader che hanno stretto un asse di ferro, monopolizzando di fatto l’Unione Europea come se gli altri 15 rappresentanti dell’Eurogruppo di Van Rompuy non esistessero, risuona decisamente in maniera più che sinistra.
Se questo benedetto euro dovesse cadere, che ne sarebbe dei debiti incrociati che ora avviluppano le nostre economie come ragnatele in procinto di spezzarsi? Compensando i reciproci dare e avere, il New York Times ha calcolato che la Francia debba 22 miliardi di dollari al Regno Unito, che la Germania ne debba 54 alla Francia, 111 all’Italia e 88 al Giappone, che la Spagna ne debba 118 alla Francia, 26 al Giappone, 58 alla Germania e 6 all’Irlanda e, da ultimo, che Grecia e Portogallo debbano qualcosa un po’ a tutti. Senza contare il Giappone, che pure lui deve 8 miliardi alla Francia, e gli Stati Uniti che sono pieni di cambiali: esclusa la Cina, che avanza da loro 1,15 trilioni, devono restituire 322 miliardi alla Francia, 163 alla Spagna, 796 al Giappone, 345 al Regno Unito, 324 alla Germania e 1 miliardo al Portogallo.
Per complicare le cose, Sarkozy e Klaus Regling, il capo del fondo europeo salva stati (Efsf), stanno battendo cassa da Hu Jintao, il numero uno di Pechino, per convincerli a investire sul debito pubblico europeo. Il Financial Times sostiene che, dei 3200 miliardi di dollari di riserve che la Cina ha accumulato, potrebbero investirne 100, ma solo dopo avere esaminato a fondo i singoli piani che ogni stato ha elaborato per uscire dalla crisi.
Ve lo immaginate Hu Jintao con la letterina di Berlusconi alla Ue in mano, aperta al punto in cui dice che vuole ammodernare la pubblica amministrazione (la stessa cosa che prometteva nel 1994)? Non credo deciderebbe di investire. Tanto più che Jin Liqun, il presidente del fondo sovrano cinese, ci spiega senza mezzi termini che “l’Eurozona è una delle entità politiche ed economiche che si aspettano la carità dalla Cina e dai mercati emergenti. Noi vi rispettiamo, per favore rispettate voi stessi”.
Nella storia, le grandi crisi finanziarie non hanno mai preluso a nulla di buono. Dopo sessant’anni che, perlomeno nel nostro orticello, la parola pace non è mai stata messa in discussione – ed è senza dubbio il periodo più lungo che l’Europa abbia mai conosciuto senza conflitti – ora la Merkel e Sarkozy iniziano a fare allusioni poco piacevoli, nel migliore dei casi solo equivoche. Se l’ottimismo può indurre a considerarle una strategia politica per ottenere risoluzioni immediate ed efficaci, resta però un incontrovertibile dato di fatto: per la prima volta sentiamo due leader europei, rappresentanti delle due maggiori potenze del vecchio continente, mettere in discussione un concetto acquisito e dato per scontato come la pace. Per quanto mi sforzi, non riesco a considerarlo un buon segno.
Se questo benedetto euro dovesse cadere, che ne sarebbe dei debiti incrociati che ora avviluppano le nostre economie come ragnatele in procinto di spezzarsi? Compensando i reciproci dare e avere, il New York Times ha calcolato che la Francia debba 22 miliardi di dollari al Regno Unito, che la Germania ne debba 54 alla Francia, 111 all’Italia e 88 al Giappone, che la Spagna ne debba 118 alla Francia, 26 al Giappone, 58 alla Germania e 6 all’Irlanda e, da ultimo, che Grecia e Portogallo debbano qualcosa un po’ a tutti. Senza contare il Giappone, che pure lui deve 8 miliardi alla Francia, e gli Stati Uniti che sono pieni di cambiali: esclusa la Cina, che avanza da loro 1,15 trilioni, devono restituire 322 miliardi alla Francia, 163 alla Spagna, 796 al Giappone, 345 al Regno Unito, 324 alla Germania e 1 miliardo al Portogallo.
Per complicare le cose, Sarkozy e Klaus Regling, il capo del fondo europeo salva stati (Efsf), stanno battendo cassa da Hu Jintao, il numero uno di Pechino, per convincerli a investire sul debito pubblico europeo. Il Financial Times sostiene che, dei 3200 miliardi di dollari di riserve che la Cina ha accumulato, potrebbero investirne 100, ma solo dopo avere esaminato a fondo i singoli piani che ogni stato ha elaborato per uscire dalla crisi.
Ve lo immaginate Hu Jintao con la letterina di Berlusconi alla Ue in mano, aperta al punto in cui dice che vuole ammodernare la pubblica amministrazione (la stessa cosa che prometteva nel 1994)? Non credo deciderebbe di investire. Tanto più che Jin Liqun, il presidente del fondo sovrano cinese, ci spiega senza mezzi termini che “l’Eurozona è una delle entità politiche ed economiche che si aspettano la carità dalla Cina e dai mercati emergenti. Noi vi rispettiamo, per favore rispettate voi stessi”.
Nella storia, le grandi crisi finanziarie non hanno mai preluso a nulla di buono. Dopo sessant’anni che, perlomeno nel nostro orticello, la parola pace non è mai stata messa in discussione – ed è senza dubbio il periodo più lungo che l’Europa abbia mai conosciuto senza conflitti – ora la Merkel e Sarkozy iniziano a fare allusioni poco piacevoli, nel migliore dei casi solo equivoche. Se l’ottimismo può indurre a considerarle una strategia politica per ottenere risoluzioni immediate ed efficaci, resta però un incontrovertibile dato di fatto: per la prima volta sentiamo due leader europei, rappresentanti delle due maggiori potenze del vecchio continente, mettere in discussione un concetto acquisito e dato per scontato come la pace. Per quanto mi sforzi, non riesco a considerarlo un buon segno.